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La voce del sociale

Buone pratiche ai tempi del coronavirus.
di Marina Ingrascì

Sentire il sociale.
Tastare il polso.
Capire, realmente, come stanno le cose.
Entrare nelle case virtualmente. A piccoli passi, bussando, creando ponti, mantenendo relazioni, costruendone di nuove.
Sentire le fatiche.
Mettere insieme le competenze per aiutare a chiedere i buoni spesa, per cercare di distrarre dal quel quotidiano che spacca il ritmo delle famiglie, confonde la notte con il giorno, toglie la voglia di vestirsi, se non ripetendosi nella testa che non si ha niente da mettere in tavola, che i soldi non entrano, e quei lavori senza contratto sono spariti nel nulla.
La voce del sociale è non far perdere di vista disuguaglianze e discriminazioni, esclusioni ed emarginazioni.
E’ ricordare, incessantemente, chi, già prima dell’epidemia di Corona virus, viveva vite ai margini, fragilità, solitudini.

E’ non dimenticare che tutto ciò si è soltanto accentuato, è emerso, è visibile. Dalle richieste di aiuti economici, all’impotenza di fronte a conflittualità e violenze, al prendere atto, come un pugno in piena faccia, che è difficile gestire i propri figli, le loro richieste psicologiche, le loro paure.
Il sociale c’era prima e c’è adesso.
Qui, ora, più vivo che mai. Inattaccabile da qualunque contagio se non quello della solidarietà. Il sociale deve continuare ad esserci perché solo attraverso educatori e operatori competenti, intelligenti, sensibili e ispirati il sociale può e deve r-esistere. Deve stare a fianco. Come un amico antico, che sostiene, accompagna, non molla, ascolta, sprona. Presenza costante che permette di sentire vicinanza nonostante la distanza fisica.
Il sociale che sperimenta creatività e modi nuovi di stare insieme raggiungendo anche coloro che prima non riuscivano a partecipare.
Il sociale che crea reti di scambio anche tra città e regioni. Che accoglie e inventa progetti e nuove sfide in un’ottica solidale e comprensiva risvegliando potenzialità e risorse.
Il sociale che fornisce supporti psicologici a madri che partoriscono in isolamento, che mantiene i rapporti tra alunni e professori riportando le specificità di ogni singolo alunno, che organizza lezioni di zumba per evadere dall’oppressione di una stanza, che accorcia le distanze linguistiche, che parla con i ragazzi per evitare che nell’ assenza di socialità siano in balia di false promesse, che non lascia indietro bambine e bambini con difficoltà di apprendimento, che si sforza di proseguire nei tirocini formativi per i giovani che avevano appena spiccato il volo.
Il sociale che sopperisce alle lacune, che si rende conto e interviene, che talvolta è stanco e ha bisogno di aiuto.
Non lasciamolo solo.
Se una lezione dall’epidemia di Corona virus deve arrivare è che il bene pubblico non può essere dimenticato, lasciato alla deriva.
Contribuire tutti per sostenere sanità, scuola, consultori, sportelli di ascolto e legali, spazi di socializzazione, laboratori, attività creative e di formazione, ritrovando fiducia nelle istituzioni e negli altri, eliminando gli sfruttamenti, potenziando le opportunità di scambio e condivisione, realizzando collaborazioni, tarando, per il prossimo futuro, gli interventi in base alle necessità che emergeranno con una visione lungimirante e consapevole, sarà la più grande vittoria che potremo ottenere da questa esperienza così profonda.

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